Il Palazzo Reale propone “Da Cindy Sherman a Francesco Vezzoli, 80 artisti contemporanei“, opere della collezione privata mai presentate prima al pubblico
Riprendo da Exibart:
Curata da Daniele Fenaroli con il supporto scientifico di Vincenzo De Bellis, attraverso oltre 140 opere, la mostra rappresenta un’occasione unica per ammirare i lavori di artisti come Cindy Sherman, Lynette Yiadom-Boakye, Nan Goldin, Nicole Eisenman, Kiki Smith, Marc Quinn, Lisetta Carmi e Francesco Vezzoli. L’esposizione è articolata in 11 sezioni tematiche, ognuna con una narrazione connessa alle altre, creando un percorso unitario che esplora le molteplici sfaccettature della società contemporanea. Identità, rappresentazione del corpo, multiculturalismo e il rapporto tra innovazione e tradizione emergono come temi centrali.
Si parte da Cindy Sherman e i suoi Untitled Film Stills degli anni Settanta, fotografie in bianco e nero che giocano con gli stereotipi femminili dei film anni Cinquanta e Sessanta. Seguono artisti come Nan Goldin, Lisetta Carmi, Lisa Yuskavage, Piotr Uklański, Roberto Cuoghi e Grayson Perry, che da sempre lavorano attorno ai concetti di corpo, identità e trasformazione.
Al centro della mostra vi è il ritratto umano, un genere che, se un tempo era legato alla committenza e alla rappresentazione dello status sociale, nella modernità si è trasformato in un mezzo espressivo più intimo e soggettivo, capace di indagare la psicologia individuale e il ruolo dell’essere umano nella società. Nelle opere in esposizione, il ritratto diventa uno strumento privilegiato per riflettere sull’identità e sulla costruzione del sé in un mondo sempre più interconnesso e frammentato. Ne sono testimonianza i lavori di Francesco Gennari, Elizabeth Peyton, Paulina Olowska, John Currin, Michaël Borremans, Marcello Maloberti, Victor Man, Catherine Opie, Rineke Dijkstra, Liu Xiaodong e Juan Muñoz.
Questa dimensione umana viene approfondita attraverso diverse linee tematiche che esplorano il rapporto tra uomo e animale, la dimensione politica e sociale dell’individuo, i rapporti di potere e le molteplici espressioni culturali e tradizionali. La mostra accosta artisti affermati a talenti emergenti, creando un dialogo fatto di simmetrie e contrasti, con l’obiettivo di restituire il clima contemporaneo, il nostro essere nel mondo oggi. In questo contesto, le opere di Paola Pivi, che utilizza la figura animale per sovvertire aspettative e suscitare meraviglia, dialogano con quelle di Allison Katz, Pietro Moretti e Francesco Gennari, che riflettono sulla rappresentazione dell’animale come alter ego dell’uomo.
Allo stesso modo, le narrazioni di comunità raccontate da Adrian Paci, Marinella Senatore e Massimo Bartolini si intrecciano con i lavori di Iva Lulashi e Os Gêmeos, dando vita a un linguaggio visivo che celebra la forza del gruppo e la resilienza collettiva. Non mancano riferimenti alla rappresentazione della figura nera, alle tematiche riguardo l’identità LGBTQIA+, puntando i riflettori sul contributo essenziale di alcuni artisti nel ridefinire il linguaggio visivo contemporaneo.
Il percorso si conclude con una serie di figure distese e abbandonate: nei lavori di Patrizio Di Massimo, Margherita Manzelli e Roberto De Pinto, i corpi appaiono vulnerabili, stanchi, come se, al termine del viaggio espositivo, l’uomo avvertisse il bisogno di fermarsi e prendersi una pausa. Il tempo sembra sospeso in una dimensione onirica.
La dimensione pittorica è preponderante, con poche installazioni, fatta eccezione per le sculture di Giulia Cenci, Kiki Smith, Nathalie Djurberg & Hans Berg e Marc Quinn. Nel complesso, si ha la percezione che le opere siano sospese tra un realismo dettagliato e un immaginario onirico. Da un lato, l’allegoria, la mitologia e la leggenda; dall’altro, la storia, la politica e la società si intrecciano in un continuo confronto, offrendo una visione stratificata e sfaccettata della condizione umana e sociale attuale. Tuttavia, l’allestimento a tratti potrebbe risultare un po’ denso e non sempre valorizza appieno i singoli lavori, sacrificando in parte la loro forza espressiva.
Avvocato di fama, presidente del suo omonimo Studio milanese e collezionista appassionato, Giuseppe Iannaccone inizia a collezionare opere negli anni Ottanta, con un interesse per l’arte moderna italiana del periodo tra le due guerre. Col tempo, il suo sguardo si amplia fino a includere l’arte contemporanea, in un’evoluzione naturale guidata dalla curiosità intellettuale e dal desiderio di confrontarsi con il presente. Attento ai nuovi talenti, sostiene giovani artisti, ospitando mostre nel suo studio in Piazza San Babila.

Questa la mia piccola selezione












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