(30 novembre – 4 dicembre 2018)

Tutti mi dicevano che Natale, a New York, è diverso. Sono andata a vedere, ed è così: tutto, tutto vuole richiamare la festa più festosa dell’anno. Tutti si torna bambini, galvanizzati da colori, musica, danze spontanee in mezzo alla strada.

30 novembre – Dopo un volo lungo, ma puntuale e confortevole, atterriamo a New York City. Soliti passaggi in aeroporto, con impronte digitali e schedatura, e finalmente siamo pronti. Un taxi ci porta all’hotel (Stanford, nella Korea Way, la 32th West, niente di più, ma non manca nulla). Il tempo di posare le valigie e rinfrescarci un attimo, e via verso Times Square, al centro del mondo. Le luci, il movimento, la folla confermano la sensazione di essere in un ombelico del mondo, ed è sempre un’emozione molto grande. Vorremmo cenare la Bubba Gamp o da Stardust, ma la troppa gente ce lo impedisce. Ci rivolgiamo così a Junior, un locale dall’aria semplice e pulita, dove scegliamo una bella hamburger e una ricca insalata. Anche se siamo soli, l’ambente vivace e vario ci distrae molto, passiamo una bella serata movimentata

1 dicembre – Dopo l’abbondante colazione ci attiviamo subito per raggiungere l’agenzia italiana che si chiama “II mio viaggio a New York”. Sappiamo che organizzano tour a Brooklyn per ammirare le luci di Natale, i famosi Dyker Eight, e prenotiamo il giro per lunedì 3 dicembre, giorno nel quale anche il tempo sembra buono.

L’agenzia si trova sulla 47° strada west, non lontano dal Moma. Entriamo per una visita accurata, dopo la prima fatta esattamente dieci anni fa. La collezione permanente è strepitosa, con pezzi dei più grandi interpreti del XIX secolo, fino quasi ai giorni nostri. Ci sono due intensissimi capolavori di Van Gogh, c’è Cezanne con la sua magica tavolozza, Boccioni con la città che sale …. E tanti capolavori del XIX e XX secolo

Ci sono poi le mostre temporanee.

Una dedicata a Constantin Brancusi, ben noto ma sempre sorprendente (sembra abbia scolpito ieri)

Norman Bauman, un artista con una bella e chiara visione della vita, che si diverte a dissacrare l’arte e scherza con lo spettatore.

Una storia della Jugoslavia, che abbraccia il dopoguerra della II Guerra Mondiale e quello dopo la sua dissoluzione. Riconosco l’importanza dell’escursus storico, soprattutto se arriva da oltreoceano, ma gli architetti jugoslavi colpiscono per il cattivo gusto e la pesantezza dei loro progetti.

Ci sono le “città ideali” inventati dal congolese Bodys Isek Kingelez: plaquette fatte con materiale di recupero, a ricostruire idealmente alcune città o zone delle stesse, con un risultato molto colorato e divertente. Infine c’è la bellissima mostra di Charles White, un nero della …., straordinario disegnatore e ritrattista, che con la sua opera ha voluto dare forza alla condizione dei neri negli Stati Uniti.

Mi piace pensare che NY, città fieramente democratica, dia intenzionalmente visibilità ad artisti neri in questo momento storico.

Dopo le quattro ore trascorse al museo, non può mancare la tappa al suo negozio. Purtroppo New York non è più economica come un tempo …

Ci avviamo verso Rockfeller Centre, dove sappiamo che troveremo il famoso abete che ogni anno rallegra la città prima delle feste. Nonostante sia ancora chiaro, la bellezza dell’albero, dello spazio sopraelevato rispetto alla pista di pattinaggio, sono già emozionanti. L’albero ha un magnifico puntale fatto di Swarosky, quest’anno disegnato da Daniel Libeskind.

Ormai siamo sulla Quinta Avenue, la più famosa per lo shopping. Tutte le vetrine sembrano fare a gara per stupire con luci, colori, fantasia. Rientrando in direzione dell’hotel, fendendo la folla incredibile del sabato pomeriggio prima di Natale, ci fermiamo da M&M dove facciamo un pieno di regali.

Passiamo dall’hotel per lasciare gli acquisti, e siamo stanchissimi. Negli Stati Uniti sono le sette di sera, ma per noi è l’una di notte. Ceniamo da The Harold non indimenticabile se non per il prezzo.

Ci sta ancora un giretto, fruttuoso, da Macy, e poi finalmente a riposare      

           

2 dicembre

Oggi piove, per stare al coperto e bagnarci meno possibile dedichiamo qualche ora della mattinata allo shopping, sia per noi che su commissione.

Troviamo tutto nella zona di Time Square, e ci spingiamo abbastanza in alto da incontrare il Rockfeller Center, con il suo maestoso albero. Ma è giorno e le luci sono spente, e siccome è abbastanza presto non c’è ancora nessuno sulla pista di pattinaggio.

Ci resta solo da raggiungere il negozio ufficiale Converse, in Lower Manhattan: andiamo a piedi. Piano piano ci allontaniamo dai grattacieli e dalle strade con gli incroci ad angolo retto, per raggiungere la zona più antica e più spontanea, almeno architettonicamente, di New York. Passiamo di fianco al severo Flatiron Building, e raggiungiamo Union Square, dove incontriamo i nostri primi mercatini del Natale. Ci sono cose di tutti i generi e per tuttti i gusti, a cominciare ovviamente dalle decorazioni natalizie, per continuare con spezie, candele, abbigliamento, gioielli, complementi d’arredo e, finalmente, cibo.

Sul percorso incontriamo la Marble Church, una chiesa atipica con una iniziativa molto toccante: attorno alla cancellata sono appesi nastri arancioni (l’arancio è il colore del movimento contro la violenza armata). Ogni nastro rappresenta una vittima uccisa da un colpo di pistola, ogni anno sono circa 12.000 le vittime di questo tipo di violenza, di cui 1600 sono bambini o adolescenti. Sui nastri sono scritti i nomi e l’età delle vittime. Non si resta indifferenti.

Continuiamo sulla Broadway fino alla nostra meta, il numero 560. Ci sono molte interpretazioni della scarpa più famosa del mondo, e naturalmente la voglia di farsene creare un modello personalizzato è alta, ma mi trattengo ed eseguo solo gli ordini di acquisto impartitimi dall’alto.

Da Prince St prendiamo la metro, anzi la subway, fino a Gran Central Station. Anche qui ci sono i mercatini di Natale, non tanti come pensavo e molto simili a quelli appena visti, ma l’ingresso in questo gigantesco monumento è sempre emozionante e ci si illude di condividere il continuo via vai delle persone che vanno e vengono da New York.

Raggiungiamo Bryan Park dove, finalmente, troviamo un vero “villagio di Natale”, ricco in proposte diverse e molto natalizie, sia negli oggetti decorativi che nel cibo e bevande: biscotti speziati e cioccolata calda. C’è anche una pista di pattinaggio molto affollata, dove i pattinatori si divertono moltissimo, e altrettanto noi a guardarli, da quelli abilissimi ai più incerti, ma temerari.

Preferiamo a questo punto una veloce sosta in albergo, poi facciamo un giro da Macy per conoscere meglio il grande magazzino, che a ben vedere è molto simile a tutti gli altri visti nel mondo. Ah, la globalizzazione!

Per cena miriamo a Stardust, il famosissimo locale dove i camerieri sono anche eccezionali cantanti, e propongono pezzi dei musical più famosi. C’è molta coda, ma restiamo pazientemente in attesa. Davanti a noi ci sono quattro amiche, dietro di noi altre due ragazze.

Il proprietario esce e annuncia che si è liberato un tavolo da otto persone. Nessuno si propone. Ci guardiamo ed è un attimo: siamo noi! Un tavolo da otto composto da illustri sconosciuti, anzi, illustri sconosciute. L’iniziativa femminile non dà peso ai dettagli senza peso. Saltiamo la coda e mangiamo tutti insieme.  

Dopo cena andiamo verso il Rockfeller Center. Lì è pura magia, impossibile non emozionarsi …

La musica, i colori, le installazioni, le persone: tutto insieme stupisce e fa riemergere l’attesa, quando eravamo bambini, quando il Natale sembrava potesse bastare per sempre e per tutto .

L’albero illuminato è davvero bellissimo, con il suo puntale scintillante, e guardarlo nella prospettiva del Top of the Rock lo rende ancora più suggestivo

Davanti all’albero, un corteo di angeli, cascate d’acqua e luci riempiono gli occhi.

Sullo sfondo, ma grande protagonista la facciata di Sacks, animata da un gioco di luci e musica che si ripete in continuazione, mai uguale. Non si finirebbe mai di guardare.

Vale la pena essere qui.                                                                                                                                                                                                                                                  

3 dicembre

Stamattina ci dirigiamo decisi verso Gansevoort Street, dove sorge il nuovo Whitney Museum disegnato da Renzo Piano, e dove inizia la Highline, la passeggiata sull’Hudson realizzata su una vecchia strada ferrata

Nel percorso di andata abbiamo attraversato il quartiere di Chelsea, e trovato l’antico Chelsea Hotel, oggi in disuso come hotel e trasformato in monumento nazionale, ma in passato palcoscenico per molti film.

Il Whitney Museum, che osservo solo da fuori, ha linee molto riconoscibili dell’architetto genovese, e sorge ora nel Meatpacking District, oggi in pieno recupero e rivalutazione – infatti è un cantiere via l’altro.

Si accede alla passeggiata attraverso una breve scalinata, e ci si ritrova in un percorso pedonale pianeggiante, con una bellissima vista sull’Hudson e sulle attività del porto. Piano piano il percorso porta in mezzo alle case più classiche, basse e con le scale antincendio esterne, e ai grattacieli a specchio più alti e imponenti. In mezzo, una bellissima residenza disegnata da Zaha Hadid. La passeggiata si conclude con un ampio anello che coduce in una zona periferica, ma dalla quale si arriva agevolmente verso il centro.

La storia della Highline risale al 1800, quando era il percorso di una linea ferroviaria. Questa è poi caduta in disuso, il tracciato è stato dimenticato e trascurato, si è riempito di erbacce, finchè negli anni ’80 il Comune ha proposto un bando per recuperare la zona. Così è stato trasformato, per la gioia dei camminatori.

Dalla fine della Highline prendiamo la metro per visitare Lincoln Center: non ci eravamo mai stati, ma di fatto non c’è nulla da visitare. Siamo però quasi a Central Park, un’altra tappa imperdibile, e ne percorriamo un tragitto immersi nella tranquillità, nel silenzio, e nella magnifica natura che ancora conserva i colori autunnali, con il piacevole incontro di qualche disinvolto scoiattolo.

A metà pomeriggio raggiungiamo il pullman prenotato per la visita ai famosi Dyker Heights. Data la loro ubicazione, un quartiere residenziale lontano dal percorso della metropolitana, è indispensabile avere un mezzo di trasporto proprio.

Molte delle case di Dyker Heights, a Natale, si scatenano con decorazioni luminose estremamente ricche e vistose, che vanno dal bel giardino e dalla facciata illuminate e colorate, all’esagerazione di esporre qualunque addobbo natalizio possibile. In sostanza, bellezza limitata, ma molta curiosità: senza dubbio una forma di celebrazione e decorazione del Natale sconosciuta in Italia.

Il valore di questa gita si materializza nel viaggio di ritorno. Da Brooklyn rientriamo a Manhattan attraverso il Manhattan Bridge. Sono quasi le otto di sera, è buio, e lo skyline illuminato che ci appare davanti, in continua trasformazione, è grandioso. Sembra di vivere dentro la sigla del film di Woody Allen, con la magnifica colonna sonora della Rapsodia in Blue di Gerwshin.

Torniamo in noi, a cena andiamo da Bubba Gamp a mangiare i gamberetti.

4 dicembre – Dedichiamo la giornata a Ground Zero, alla visita e alla memoria.

Con la metropolitana veloce arriviamo facilmente in Fulton Street, e in pochi minuti a piedi raggiungiamo l’entrata della Freedom Tower, il grattacielo più alto di Manhattan costruito in risposta alla distruzione delle Twin Towers. Grazie al jet lag ci svegliamo ancora molto presto, altrettanto presto ci mettiamo in moto e anticipiamo la folla. Questo ci permette di fare pochissima coda per pagare il salato biglietto e raggiungere l’ascensore che, in pochi secondi, ci risucchia in cima ai suoi 541 metri di altezza.

L’emozione inizia subito: durante la salita uno schermo ci mostra Manhattan del lontano passato, quando era un’isola coperta di alberi, che in rapida trasformazione si popola di persone e di case … fino al 2001, quando l’impressione è che tutto crolli. Ma siamo in cima, e dopo una breve quanto inutile introduzione, abbiamo accesso al percorso panoramico che circonda tutta la torre e che permette di vedere la città dall’alto-che-più-alto-non-si-può, e soprattutto i dintorni. Il mio punto di partenza è la Statua della Libertà, poi man mano verso est Brooklyn e i ponti sull’East River, Middle Town, l’Hudson, il porto, tutto a 360 gradi, con un cielo bellissimo di azzurro e nuvole bianche.

Scendiamo con l’intenzione di visitare il museo, ma a questo punto la coda di persone in attesa è così lunga che desistiamo. Una pausa davanti alle fontane nate nello spazio lasciato dalle fondamenta delle due torri, dove sono riportati i nomi di tutte le vittime, e poi ci dirigiamo verso Oculus, la stazione con la struttura esterna ad ali di colomba disegnata da Santiago Calatrava.

L’interno, così bianco, sembra invitare alla tranquillità e forse alla riflessione. Pur essendo solo uno snodo verso il centro commerciale e la metropolitana, ha una sua identità fatta dalla pura bellezza e dall’armonia che ci invade. Un corridoio è dedicato a figure femminili che sono presenti in immagini, ma si animano in modo simpatico e complice man mano che le si osserva, e che sono presentate con una bella definizione.

Torniamo verso l’hotel a piedi, per goderci questa città che domani lasceremo, e che si mantiene un esempio di democrazia, tolleranza, accettazione, voglia di vivere e di vivere bene.

La serata si conclude da The Harold, e con un nuovo paio di Converse per me (resisto a tutto, ma non alle tentazioni)