(15 agosto – 30 agosto 2007)
Non è una leggenda metropolitana, è proprio vero che in Canada ci sono le casette pulite e ordinatissime, con le pareti rivestite di doghe di legno colorato, con i pesciolini (qualcuna) e i fiori (non necessariamente lillà),: ne abbiamo viste a centinaia … ma andiamo con ordine
15 agosto – Partiamo da Malpensa la mattina presto del giorno di ferragosto, scalo a Francoforte dove saliamo su un bell’aereo grande e comodo, e dopo otto ore di volo (ma sono solo due sull’orologio, grazie al fuso orario) arriviamo a Montreal, la più importante città della provincia francofona del Quebec. Già dall’alto vediamo lo skyline dei grattacieli, il grande fiume San Lorenzo, che per alcuni giorni seguiremo nella sua corsa verso l’oceano, il porto. La procedura per uscire dall’aeroporto è un po’ lunga (siamo tutti extracomunitari?), altrettanto tempo (e parecchie risate: non siamo abituati agli standard dimensionali americani) ci prende la scelta della macchina, ma alla fine, condotti dall’infallibile Sharon, il (la) navigatore satellitare che tanta parte avrà nel nostro viaggio, raggiungiamo l’hotel prenotato: Chateau Versailles, in Sherbrooke Ouest, molto bello (anche se le nostre stanze sono a livello cantina, ma non per questo meno confortevoli) e a cena ci dirigiamo nella vicina Brasserie Gourmand, dove gustiamo una cena francese a tutti gli effetti che io, più vicina ai gusti europei che a quelli anglosassoni, trovo di grande soddisfazione. Poi a nanna, siamo svegli da quasi 24 ore.
16 agosto – Dopo una deliziosa prima colazione (sempre piuttosto europea) in un ambiente piacevole e tranquillo, con piccoli tavoli e poltrone e pace e musica classica di sottofondo, partiamo per la visita della città. Sarà necessariamente veloce e superficiale: metropoli di queste dimensioni meriterebbero ben più tempo, ma va bene così. Nelle vicinanze dell’hotel troviamo il Canadian Centre for Architecture, dove è in corso una colorata mostra dedicata alle copertine delle piccole riviste. E’ appagante ammirare il profilo architettonico della costruzione, lineare e molto elegante. Ci dirigiamo poi verso il centro della Vieux Ville, dove vecchie case in pietra sono affiancate da costruzioni più moderne, fino agli specchianti grattacieli del centro. Raggiungiamo Place du Canada con la cattedrale, intitolata a Marie Reine du Monde e attraverso i vicoli, raggiungiamola Placed’Armes, poi il fiume e Place Jacques Cartier, l’Hotel de Ville e gli Champs de Mars (sembra di stare a Parigi …). Una leggera pioggia ci costringe a fare un giro nella città sotterranea, lunga galleria di negozi e caffè dove evidentemente ci si rifugia con piacere nei mesi invernali, quando le temperature sono rigidissime. Facciamo uno spuntino a base di birra e formaggi in un localino del Marchè Bonsecours, dove i camerieri sono vestiti con abiti storici e dove ci sorprende un fortissimo temporale. Scopriremo poi il giorno dopo che l’acquazzone ha fatto ingenti danni alla città, ma per fortuna noi non abbiamo nessun problema. E soprattutto, ancora non lo sappiamo ma, salvo una mattinata a Quebec City, quella sarà l’unica pioggia che vedremo nel nostro viaggio. Nel tardo pomeriggio continuiamo la nostra passeggiata nella zona avveniristica di Montreal, quella dei grattacieli dove tutto si specchia ( le cui immagini riflesse non ci stanchiamo di fotografare) , e arriviamo alla sede della prestigiosa Università Mc Gill, una delle più esclusive del Canada. Chiudiamo la serata con una cena al ristorante greco Molivos, sempre posizionato vicino all’hotel (siamo ancora un po’ sfasati con gli orari) dove incontriamo un simpatico tipo italiano che vive a Montreal da circa cinquant’anni, e al quale chiediamo qualche dritta per le nostre prossime tappe.
17 agosto – Siamo ancora a Montreal, e prima di tutto facciamo un salto al bookshop dell’Università McGills per qualche acquisto e qualche regalo.
Subito dopo, condotti da Sharon (che ancora non ha sfoderato tutte le sue armi di seduzione) andiamo in macchina al Parc du Mont Royal, una specie di montagna verde progettata dallo stesso architetto che ha ideato il Central Park di New York. Da qui si domina buona parte della città, sebbene i belvedere più interessanti siano raggiungibili solo a piedi e dopo passeggiate piuttosto lunghe: cominciamo a entrare nel modo di vivere dei canadesi, ovvero l’abitudine di vivere il tempo libero facendo sport e movimento fisico. Al parco, ci fermiamo qualche momento al Lac aux Castor, e subito siamo immersi nei tempi lenti della natura e della contemplazione. Il lago è molto bello, uno specchio blu circondato da prati e alberi alti e robusti, intorno ci sono gli anatroccoli che si lasciano fotografare quasi in posa, ed è tutto stranamente molto divertente …
Ci dirigiamo a Little Italy, perché dobbiamo assaggiare i più famosi e appetitosi bagel di Montreal, quelli di Fairmount Bagel Bakery Inc (sono buoni, ma solo appena fatti, e ne compriamo troppi) e poi, all’ora di pranzo, al quasi introvabile (ma non per Sharon) mercato Jean Talon. Dopo pranzo andiamo al Parco Olimpico, costruito in occasione delle Olimpiadi del 1976, dove subito diamo sfogo al nostro desiderio di altitudine, prendiamo la funicolare e arriviamo in vetta alla Tour de Montreal, la torre inclinata più alta dl mondo (arriva a 45° di pendenza!) dove guardiamo e fotografiamo in lungo e in largo lo skyline della città e il San Lorenzo.
Non c’è tempo, purtroppo, per visitare il Biodome, una specie di museo dove sono stati ricreati quattro diversi ecosistemi: ne guardiamo la cupola da fuori, e prendiamo atto degli spazi, delle dimensioni. Nel tardo pomeriggio partiamo verso la seconda tappa, Trois Rivieres, dove alloggiamo al Days Inn e scopriamo di essere capitati lì nei tre giorni più intensi dell’anno: c’è infatti il Gran Premio Automobilistico (?), la città è piena, i prezzi sono raddoppiati rispetto al solito, e anche la cena, per quanto divertente, non è davvero speciale. Mangiamo bourgougnonne chinoise al pretenzioso Le St. German Bistro.
18 agosto – Fuggiamo da Trois Riviere e dal suo Gran Premio e affrontiamo il primo grande parco naturale del nostro programma:La Mauricie. Naturalmente abbiamo una gran voglia di vedere almeno qualcuno degli animali che sappiamo vi abitano: Patrizia aspetta l’alce, Stefano il castoro, Paolo spera di incontrare l’orso, io che sono poco animalista cerco qualche bell’acero rosso, … La gentile fanciulla dell’ufficio informazioni ci mostra una mappa del parco e ci segnala i posti dove “if you are lucky, you can see mooses …” Il parco è bellissimo, un’immersione totale in tutte le gradazioni del verde, con fiumi placidi, il lago blu cobalto dove tutto si specchia e torrenti impetuosi ma, nonostante le nostre passeggiate all’interno del bosco, evidentemente non siamo “lucky” e non vediamo nessun animale. Però questa immersione nella natura mi coglie un po’ di sorpresa, ne sento l’energia, la forza, mi lascia una sensazione di appagamento. Scopriamo anche la perfetta organizzazione del parco dedicata ai campeggiatori. Alla sera, la nostra meta per cena e notte è S. Anna di Beaupré: mentre ci avviciniamo al paese vediamo dalla strada le cascate di Montmorency, alte ma ben poco suggestive. Il nostro albergo è il grazioso Auberge La Camarine, ceniamo in un pub proprio simpatico che si chiama St. Bernard. Sharon dà qualche cenno di confusione e incertezza e ci fa preoccupare: non conosciamo ancora a fondo le sue straordinarie risorse …
19 agosto – Oggi attraversiamo lo Charlevoix, una magnifica regione che si è formata all’interno della valle scavata da un meteorite caduto qualche milione di anni fa … In realtà non passiamo proprio dal cratere, ma costeggiamo il fiume, fino a Baie St. Paul. Il paese è piccolino ma delizioso e vitalissimo: praticamente un unico corso di casette ad un piano tutte colorate e fiorite, dove troviamo localini, negozi e soprattutto gallerie d’arte una più bella e divertente dell’altra. Per pranzo scegliamo il dolce, e per me un gelato alla crema irrorato di sciroppo d’acero. E non ci facciamo mancare lo shopping!
In questo periodo il paese propone il Simposio Internazionale di Arte Contemporanea (e scusate se è poco). Lasciamo un po’ a malincuore Baie St. Paul e la sua piacevole atmosfera e continuiamo il nostro percorso, sempre accompagnati da un paesaggio grandioso. Ci fermiamo per una piccola sosta a Malbaie, davanti ad un bellissimo lago dove si specchiano le conifere, e Patrizia inaugura l’autoscatto per la prima foto che ci ritrae tutti e quattro insieme …Poi Baie St. Catherine, dove prendiamo il battello che ci permette di attraversare il fiume Saguenay (che con rimpianto non navigheremo) e ci deposita a Tadoussac. Dopo qualche ricerca troviamo una stanza per la notte al Motel George e pranziamo al Poissonier del campeggio di Tadoussac.
20 agosto – Ci svegliamo a Tadoussac, e facciamo una bella colazione nella veranda del motel, con vista sul fiume Seguenay e il viavai dei traghetti. Nell’attesa che venga l’ora in cui abbiamo prenotato la barca per lanciarci all’avvistamento delle balene, passeggiamo per il paese e ci dedichiamo un po’ allo shopping, tanto per cambiare. Facciamo anche un’incursione veloce al museo dedicato alle balene, dove c’è uno scheletro e un po’ di giochino curiosi, e una bella ragazza che ci racconta qualche abitudine dei cetacei. Alle 13, con la bassa marea che sappiamo non favorevole (le balene vanno dietro al loro cibo, il krill, che sta in profondità), e dopo esserci bardati con gigantesche cerate gialle, partiamo su un grosso motoscafo, che galoppa verso il mare aperto. Dopo un po’ avvistiamo un branco di beluga, balenottere bianche protette, quindi più che guardarle e fotografarle ci fermiamo per farle passare: saranno un centinaio. Viaggiamo ancora un bel po’ e finalmente avvistiamo quella che penso sia (sfogliando i cataloghi) un petit rorqual o, in inglese, minke whale: non è enorme, ma ne vediamo bene la pinna dorsale. La guida sulla barca ci informa subito di “dimenticare la coda”, perché pare che la signorina la tiri fuori dall’acqua davvero molto raramente. Dopo poco ne vediamo un’altra (o forse due?), ma ormai è il momento di ritornare. La barca si lancia a gran velocità verso il porto, mentre noi ci ripariamo come possiamo dentro a tutto quello che abbiamo addosso. Meno male che non ho scordato né sciarpa né guanti! Sbarchiamo un po’ delusi verso le quattro, e ci facciamo una merenda, che si rivelerà di grande soddisfazione, aLa Bohème, un locale proprio dietro il bellissimo Hotel Tadoussac, dove Stefano, fedele genoano, non resiste e assaggia la birra Griffon. Partiamo subito con l’intenzione di traghettare quanto prima sull’altra sponda del San Lorenzo e lanciarci verso la Gaspesie, e siamo questa volta fortunati perché, arrivati a Forestville, prendiamo per pochi minuti il traghetto che ci porta a Rimouski. Durante la traversata ci godiamo un tramonto assolutamente arancione, e appena sbarcati tralasciamo la città e ci mettiamo alla ricerca di un albergo un po’ decentrato. Troviamo una sistemazione molto simpatica all’Auberge La Marée Douce, datato 1860, dove ci sono assegnate le camere Verde e Beige, arredate con grande cura, con mobili vecchiotti, quadri, fiori, boiserie e tessuti fioriti. La proprietaria, Margherite, è da sola un personaggio, simpaticissima e cordiale. Purtroppo il ristorante dell’auberge, rinomato, è già chiuso, così mangiamo comsi comsa in un pub vicino, che si chiama Relax. Oggi Sharon non è stata protagonista …
21 agosto – Cominciamo ufficialmente il perimetro della penisola di G
aspè. Prima di lasciare Rimouski andiamo a piedi al Musée deLa Mer, una suggestiva costruzione che ricorda nell’aspetto un piroscafo, e che di fatto celebra il naufragio del Empress of Ireland, avvenuto nel 1914. La nave era carica di immigrati dall’Irlanda, e qui si vuole dare il giusto tributo a chi ha perso la vita nella speranza di un futuro migliore. Accanto al museo, il primo faro che incontriamo in un percorso dove ne vedremo molti: questo è quello, bellissimo e particolare, di Pointe-au-Père. Non lo visitiamo, proseguiamo verso i Jardin de Metis. Fino alla fine di settembre è in corso il festival dei giardini, e questi propongono una seziona apposta che celebra i suoni all’interno di uno spazio naturale. I giardini, voluti e creati nel secolo scorso da Elsie Reford, nipote del fondatore della Canadian Pacific Railway, propongono spazi verdi, corridoi fioriti, angoli dedicati ad uccellini e scoiattoli, fino ad una esuberante parte finale lasciata allo stato naturale. L’inseminazione spontanea in uno spazio in cui ci sono tante piante selezionate permette lo sviluppo di una siepe bellissima e piena di colori. Lasciamo i giardini, ed è ora di pranzo: facciamo sosta da Le Bistro du Rafiot – segnalato dalla guida Lonely Planet – dove assaggiamo i famosi gamberetti di Matane. Proseguiamo verso il Parco di Matane: non è nel complesso molto diverso dalla Mauricie (siamo su monti relativamente alti, le vegetazione assomiglia a quella dei nostri Appennini), ma mentre percorriamo con l’auto la strada principale uno splendido alce ci salta davanti, entra nel bosco, si ferma a mangiare a pochi metri da noi e infine ripercorre la strada al contrario, regalandoci un’altra entusiasmante passeggiata che, ovviamente, immortaliamo con innumerevoli scatti. E’ un animale maestoso ed elegantissimo, con le caratteristiche corna ampiamente sviluppate. Quando lui decide di allontanarsi (noi non ci decidiamo a perderne la vista …) proseguiamo fino allo Stagno delle trote, uno spazio attrezzato, dove ritroviamo quell’immagine del Canada che abbiamo negli occhi per averla vista tante volte sui giornali: un lago blu con una corona di conifere che sembrano nascere dall’acqua. Passeggiamo, respiriamo, andiamo sull’altalena. Poco lontano incontriamo il ranger del parco, un ragazzo simpatico e disponibile che ci apre la sede del parco, dove troviamo un po’ di materiale sulla fauna presente. Ovviamente vogliamo sapere tutto sul nostro alce, e ci dice che si tratta di un maschio di due anni e mezzo o tre, non pericoloso perché ancora troppo giovane per accoppiarsi, e quindi per avere istinti combattivi. E’ tardo pomeriggio e siamo ancora all’interno del parco, persino Sharon è muta perché non riceve alcun segnale dal satellite. Le indicazioni ci sono, sebbene siano poche, e infatti usciamo ma da un altro parco, quello di Cap Chat. Dormiamo all’ostello di Sainte-Anne- des-Montes: si chiama Auberge Internationale, è semplice ma pulito e simpatico, e anche la colazione della mattina successiva è molto buona. Abbiamo chiaro che in questa zona non usa la colazione a buffet, ma solo à la carte, ed c’è la doppia offerta di colazione anglosassone e colazione francese. Per la cena scegliamo il ristorante Chez Pierre: è tutto pesce, è solo abbastanza buono e, secondo me, piuttosto caro; soprattutto è un locale tenebroso e tristanzuolo, che non stimola granché l’appetito …
22 agosto – La prima tappa è al faro La Martre, rosso all’esterno e tutto in legno, datato 1906, l’unico ad avere all’interno una scaletta che sale a rampe e non a chiocciola, quindi molto più comodo da scalare. Lo visitiamo con Marie Soleil, una studentessa bella e simpatica di 19 anni (ma ne dimostra 15) che studia a Quebec City. Marie Soleil ci illustra le dotazioni essenziali all’interno del faro, ci spiega il sistema di lenti che permette di amplificare il fascio luminoso e renderlo visibile da circa 50 km, ci mostra il sistema a orologeria sul quale ancora si basa il funzionamento del faro. Ogni faro ha un ritmo luce-ombra definito e diverso, per essere riconosciuto dal mare, e il guardiano del faro riveste ancora un ruolo essenziale nel funzionamento di queste luci che, installate a distanze regolari sulle due rive del San Lorenzo, ne tracciano la linea delle coste. Riprendiamo la strada e, nel percorso, ne fotografiamo altri due: quello di Cap Madeleine e quello di Cap-des-Rosiers, il più alto di tutti. Nel mare, sotto il faro, nuotano le foche. Entriamo nel Parc National de Forillon, che ci aspettiamo ricchissimo di fauna: la prima sosta è su un promontorio a picco sul mare e sulla falesia, dove nidificano gabbiani, cormorani e altri uccelli che continuano a volare avanti e indietro tra mare e nidi. Ci spostiamo per una passeggiata nel bosco, e vediamo un morbidissimo castoro che, indifferente a noi, mangia dal sottobosco. Più avanti, da una sorta di terrazza che guarda il mare aperto, vediamo in lontananza le balene che lanciano il loro spruzzo verso il cielo. Sulla via del ritorno verso il parcheggio, due ragazzi che incrociamo ci informano che, a pochi metri di distanza, hanno appena visto un orso. Ci avviamo in quella direzione, un po’ sperando e un po’ no, perché l’orso è pur sempre un animale pericoloso. Però non incontriamo nessun orso, e siamo consapevoli che questa è la nostra ultima tappa all’interno di un ambiente naturale com’è il parco. Proseguiamo la nostra strada finchè non ci appare, a sinistra, la famosa Percè Rock, lo scoglio granitico simbolo di questa zona. Troviamo una stanza per dormire al modesto Motel Vibert, ma ci concediamo una cena di gran lusso, a base di pesce, a Percè, alla Maison du Pecheur.
23 agosto – Ci svegliamo in riva al mare: le nostre stanze o meglio, i nostri piccoli cottage, dove durante la notte faceva freddissimo, sorgono proprio a due passi dalla spiaggia. La temperatura è tiepida, la giornata ancora una volta serena, facciamo colazione all’Auberge le Coin du Banc. E’ un posto speciale, una stanza rivestita in legno con un’ampia finestra che guarda il mare (o, è il fiume, ma è tanto grande che lo sembra). Alle pareti sono appesi gli oggetti più curiosi, sculture, piccole collezioni. Anche la colazione è eccellente, pancake al succo d’acero, marmellata fatta in casa ricca di pezzi di frutta, e il solito caffè a volontà. E’ un locale davvero accogliente. Ci fermiamo subito a Percè per guardare e fotografare con calma la Percè Rock e il paese. Partiamo: la nostra meta, oggi, è Quebec City, ma per prima cosa l’itinerario prevede di “tagliare” il promontorio della Gaspesie per ritrovare la costa del San Lorenzo più o meno a Rimouski. Durante il percorso pranziamo da Mam’zelle Maria, un buon fast food. Raggiungiamo la costa e continuiamo costeggiando il Parc du Bic e Riviere du Loup. Oggi Sharon è particolarmente preziosa e Stefano e Paolo si sprecano in complimenti e coccole … Ma questo viaggio resterà indimenticabile per la colonna sonora: casualmente sintonizziamo la radio su un canale che si chiama 60s, con musica degli anni sessanta. Per la maggior parte sono pezzi che non conosciamo, canzoni che non hanno superato i confini dell’America, ma ogni tanto arriva una canzone che è stata anche nostra, la conosciamo, la cantiamo: non abbiamo incertezze, le parole memorizzate quando avevamo sedici anni sono indelebili. Cantiamo e balliamo in macchina, un revival (o un amarcord?) on the road che riscalda il pomeriggio mentre questo piano piano si trasforma in sera… A Quebec City, dopo qualche ricerca, troviamo posto all’Hotel Champlain, in Rue St. Anne, un bell’albergo moderno e molto comodo, oltre che centralissimo. Per cena ci separiamo, vogliamo assecondare i nostri diversi gusti culinari: Paolo e io al Cafè de Paris, Patrizia e Stefano da Omelette. Scopriamo all’uscita che eravamo praticamente nello stesso ristorante!
24 agosto – Siamo a Quebec City, e diluvia. Nonostante la notte sia stata serena, e dalla finestra della nostra camera si vedesse perfettamente il famoso albergo Chateau Frontenac (una specie di castello, peraltro adesso in ristrutturazione) bene illuminato, quando siamo pronti per uscire piove a dirotto. Ci avventuriamo lo stesso versola Cittadella, per assistere al cambio della guardia, ma ci dicono subito che è stato annullato causa, appunto, maltempo. Ci accontentiamo di guardare e fotografare le due guardie in piedi nelle garitte. Ci spostiamo verso il fiume (siamo nella città “alta” e il fiume lo dovremmo vedere sotto di noi), ma la nebbia è talmente fitta che non riconosciamo niente. Cominciamo a entrare e uscire dai negozi per difenderci dalla pioggia, e facciamo un bel po’ di shopping. Io acquisto da Toutou l’alce di peluche per Alessandra, lo imbottisco come mi piace, e faccio la promessa di amicizia per conto di Daniele: è una cerimonia buffa e anche un po’ emozionante (bisogna crederci!).
Entriamo nella Galerie Art Inuit, con bellissime sculture in pietra che rappresentano le figure caratteristiche della cultura, appunto, inuit: orsi, foche e soprattutto omini stilizzati. Purtroppo i prezzi sono parecchio alti, e siamo perplessi anche dell’impegno di portarci dietro un oggetto tutto sommato delicato.
Un’altra visita è dedicata alla Boutique de Noel, dove le decorazione di Natale sono disponibili tutto l’anno. Entriamo nella Galleria d’arte Cimon, che espone opere di Christian Bergeron: mi piace moltissimo, per i colori vivi e caldi che usa e per le fratture virtuali nei suoi quadri, che sembrano visti attraverso un prisma. Verso l’ora di pranzo il tempo comincia a migliorare, noi intanto andiamo nel più famoso ristorante di Quebec City, “Aux Anciens Canadiens”, dove mangiamo e beviamo molto bene (io, quiche ai gamberetti e torta allo sciroppo d’acero) in un ambiente accogliente e vintage, con le cameriere vestite in costume d’epoca. Nel pomeriggio scendiamo a piedi nella città bassa; ci fermiamo a fare fotografie in una stazione dei vigili del fuoco, dove conservano ancora un’auto degli anni ’30, e un pompiere ci racconta che la città è in lutto perché quella stessa mattina è improvvisamente mancato il sindaco, una signora che pare fosse molto apprezzata. In effetti scopriamo che molti negozi sono chiusi, ma non tutti. La zona della città bassa, che corre lungo il fiume e offre praticamente solo negozi di souvenirs per turisti e gallerie d’arte (tantissime, belle!), è tutto praticamente aperto. Comperiamo t-shirt e altri oggetti, comperiamoli succo d’acero nella Petite Cabane a Sucre, negozio chiaramente dedicato all’acero, all’érable, al maple …Risaliamo a piedi verso la città alta, ci fermiamo per una birretta in un locale carino (ma speravamo di sederci all’aperto), ormai è buio.
25 agosto – Oggi lasciamo Quebec City per raggiungere Ottawa, ma la prima sosta della mattinata è al villaggio degli indiani Huroni. Sono, con i Mohicani – e infatti si pettinano uguale, con la “cresta” – i Nativi del Quebec. La località si chiama Wendake, e pone non pochi problemi a Sharon che ci porta all’interno di un paesino che più normale non si può (con le casette piccoline ..) e oltre non va. Finalmente, percorrendo tutta una lunga strada, troviamo la riserva. Intanto diciamo pure che, al di là del richiamo turistico, gli indiani d’America sono persone abbastanza integrate (con qualche restrizione, ahimè) che vivono in case di cemento, vanno a scuola, lavorano … però all’interno di questo piccolo spazio hanno ricreato la possibilità di vedere come era gestita la loro vita prima della cosiddetta civilizzazione. Dopo la danza (?) di benvenuto, eseguita da quattro adolescenti, ci prende in consegna una ragazzona piuttosto nutrita (purtroppo non ho proprio capito come si chiama), simpatica, che ci fa fare il tour dove mostra e spiega: l’abitazione dove vivevano, in gruppi di sei-otto famiglie, che non è il teepee, dove stava una famiglia sola (notevole il fatto che, alla costituzione di una nuova coppia, la donna poteva testare il potenziale marito per 15 giorni, prima di accettarlo definitivamente); l’omino fatto di pietre piatte posate una sopra l’altra, che serviva per indicare un percorso; la conservazione dei cibi tramite essicazione e affumicamento (fondamentale in una regione coperta da 30 centimetridi neve per otto mesi all’anno); la tenda, o meglio il teepee “sauna”, dove gli uomini si radunavano e fermavano per diversi giorni a meditare ed elaborare decisioni; le canoe, mezzo di trasporto fondamentale in una regione dove abbondano laghi e fiumi. Alla fine assistiamo allo spettacolo danzante, con coreografie che sono un po’ tutte uguali, ma non identiche e hanno diversi significati (e alla fine balliamo anche noi!). Alla fine della visita, shopping , e i miei preferiti sono i “dream-catcher”, gli “acchiappasogni”, ne comprerei per tutti. Dopodiché, risaliamo in macchina e facciamo tutta una tirata fino a Ottawa, dove arriviamo verso sera. Durante il viaggio, mentre Patrizia e io chiacchieriamo e sonnecchiamo e fotografiamo, Paolo e Stefano si lanciano in una corte sfacciata verso Sharon, che coccolano tentando in ogni modo di ottenere da lei un minimo cenno di riconoscimento. Invano: Sharon ha capito che sono inaffidabili. Arrivati a Ottawa, ci fermiamo ancora una volta in un albergo suggerito dalla guida Lonely Planet: è una Gasthaus gestita da una coppia (ma noi conosciamo solo lui) di origini svizzere, un posto davvero piacevole dove le camere sono belle e pulite e la colazione si fa anche in giardino. Infatti il nostro percorso ci ha riportati verso sud, e stiamo ritrovando le temperature dell’estate. Abbiamo un indirizzo per la cena, ma troviamo tutto esaurito: ripieghiamo su The Fish Market, dove ci troviamo benissimo, e io assaggio per la prima volta la cucina della Louisiana, piccante (neanche tanto) e saporita. Il locale è grande, ma bene arredato, accogliente e molto piacevole. La prima passeggiata per Ottawa, in notturna, non ci dice granchè sulle sue caratteristiche: ci fermiamo solo a visitare un bel negozio di arredamento, assolutamente sovrapponibile a quelli che conosciamo in Italia.
26 agosto – Dedichiamo tutta la giornata alla visita di Ottawa, una città il cui centro essenzialmente si risolve tra le due rive del fiume che si chiama, appunto, Ottawa (oppure Outaouais, in francese), in mezzo al quale è segnato il confine tra Quebec e Ontario: è buffo il fatto che, a chiedere informazioni nel Quebec, ci si sente rispondere con precisione per lo stesso Quebec, mentre non sanno nulla dell’Ontario, che comincia al di là del ponte …sono pazzi questi canadesi …Comunque qui ci svegliamo con una giornata splendida e andiamo subito a Parliament Hill per assistere al cambio della guardia. E’ una cerimonia lunga e abbastanza noiosa, che risponde al codice militare, con una lunga parata iniziale, però è divertente osservare le divise: rosse e nere, col colbacco alto, come a Buckingam Palace, e scozzesi, con le cornamuse, in rappresentanza della Nuova Scozia. A fine cerimonia ci attardiamo intorno al palazzo del Parlamento, che ha una torre dell’orologio cugina del Big Ben, e troviamo vari punti di osservazione del fiume. Non mancano le sculture di personaggi famosi e no, e scattiamo foto in mezzo a un gruppo di signore di bronzo che sorseggiano il te, ma che rappresentano le prime rappresentanti del movimento per il voto alle donne. Insomma, anche qui ci godiamo i tempi lunghi e tranquilli di un paese dove la natura è predominante, anche nelle città più importanti (Ottawa è la capitale del Canada!). Altro candidato alle nostre foto è un bell’acero già avanti nel cambiamento autunnale dei colori, con foglie rosse e gialle. I nostri aceri … Incontriamo una Giubba Rossa, che carinamente si fa fotografare. Ci avviamo dall’altra parte del fiume, attraverso il Ponte Alexandre, per visitare il Museo della Civilizzazione, un’avveniristica e grande costruzione che, su tre piani, propone varie testimonianze della storia del Canada. A pianterreno ci sono i totem, le sculture, gli utensili dei Nativi d’America, alcuni in copia, molti in originale; sono ricostruite situazioni famigliari e sociali; è una visita lunga, ma di ampia soddisfazione. Il museo è allestito molto bene, si visita facilmente e le spiegazioni sono esaurienti. Non è molto interattivo, forse per un bambino può essere un po’ noioso (anch’io mi diverto con il giochino). Al piano superiore è allestita Tête-à-tête, un’ampia mostra dedicata ai personaggi che hanno fatto grande il Canada. A parte lo scrittore Mordecai Richler, mi accorgo di non conoscerne nessuno, ma sembrano tutti molto in gamba. E’ una sezione storica ricca di notizie, persino troppo, ma ci conduce in una zona del museo dove è ricostruita una cittadina canadese dei, direi, primi ‘900: ci sono case, uffici e negozi, la chiesa, carrozze e vagoni del treno. Persino i colori del cielo sembrano reali: è molto divertente. Usciamo infine dal museo e, mentre Patrizia e Stefano decidono di cercare un tandem per fare un giro in bici (finiranno invece a passeggiare nel Parco Jacques Cartier), noi ritorniamo al di là del ponte, nell’Ontario, con l’intento di visitare la NationalGallery. Purtroppo non facciamo in tempo a entrare che ci cacciano fuori, il museo sta chiudendo. Pazienza, per fortuna il gigantesco ragno di Louise Bourgeois è all’esterno, a disposizione di tutti, con la sua pancia gravida e le sue gambe robuste. Nella strada verso l’albergo diamo un’occhiata alla cattedrale, Notre Dame. Decidiamo di fare un giretto in macchina per renderci conto dei dintorni, che sono anche qui fatti di casette piccoline con giardino fiorito. Alla sera ceniamo al ristorante Sweetgrass Aborigenal Bistro, un bel localino dove mangiamo molto bene e assaggiamo la tenerissima carne di caribù e di bisonte (il tatanka di Balla coi lupi).
27 agosto – Partiamo da Ottawa per andare all’ Algonquin Provincial Park, che è enorme ma è anche attraversato, nella parte inferiore e per circa 90 km, dalla strada statale. Secondo i nostri informatori, pare che tal percorso basti e avanzi per incontrare gli animali, che infatti sono abbondantemente segnalati come possibili ostacoli per tutto il percorso. Entriamo nel parco a Withney, dove per la prima volta vedo i cestini della spazzatura con chiusura a prova di orso (c’è molta attenzione nel mettere in guardia contro questo animale) e facciamo tappa allo Stagno dei Castori (Beaver Pond): circa due chilometri di passeggiata nel bosco, attorno ad un lago dove si vedono chiaramente le dighe fatte dagli animali con piccoli tronchi e fango. Abbiamo un foglietto di spiegazioni raccolto all’inizio della passeggiata (c’è un espositore con le brochure, una cassetta per raccogliere le offerte di chi vuole trattenerle, e una cassetta di raccolta per quelle rese, tutto perfetto, tutto pulito) e impariamo che lo stagno non esisterebbe senza il lavoro dei castori, ma che all’interno del bosco ci sono moltissimi alberi tranciati dai castori, che si prendono quello che gli serve e lasciano il resto della pianta a seccare. La passeggiata è bella ma abbastanza lunga, facciamo poi ancora un tratto in automobile e ci fermiamo in corrispondenza di un lago, vicino ad una piccola esposizione di sculture in ferro, ispirate alla flora e alla fauna del parco. Qui Patrizia, presa dall’entusiasmo di scattare foto, si avvicina troppo all’acqua e sprofonda nel fango fino alle ginocchia! Per fortuna i geniali pantaloni con la cerniera e metà gamba e le geniali ciabattine Crocks comprate a Montreal fanno sì che l’incidente sia facilmente risolvibile: basta una spugnata. E anche qui, in mezzo a un parco disabitato se non da orsi, alci e castori, troviamo bagni puliti e confortevoli dove non manca niente, nemmeno l’acqua calda. Al momento di lasciare il parco valutiamo che non abbiamo visto nemmeno un animale! Però qui gli aceri cominciano a rosseggiare, ci consoliamo fotografando quelli. La strada verso Toronto, prossima tappa, è lunga, decidiamo di fermarci a dormire a Orilla, ridente (?) paese sul lago Hudson. Dormiamo al Motel King’s Hill, mangiamo da Theo’s Eatery, che propone molta cucina italiana, ma dove riusciamo a mangiare invece qualcosa di canadese, e piuttosto bene. Stasera c’è la luna piena, è bellissima e grande … Finiamo la serata in un drugstore, dove facciamo acquisti di poco conto, ma proviamo l’ebbrezza di visitare un negozio very americano, aperto fino al mezzanotte.
28 agosto – Finalmente Toronto! Finalmente siamo nella città più scenograficamente americana, tra quelle visitate. Arriviamo in tarda mattinata, è una bellissima giornata piena di sole. Ci aspetta l’hotel Primrose Best Western: è in centro, ma non vicinissimo al lago Ontario. Dalla nostra finestra, però, si gode un bellissimo skyline, che di notte si illumina, e la CN Tower.Ci mettiamo subito in movimento e la prima tappa, per motivi esclusivamente logistici, è il ROM, ovvero Royal Ontarium Museum, con la sua nuova facciata, appena inaugurata, disegnata da Libeskin. Per brevità entriamo solo nel bookshop del museo, poi proseguiamo la nostra passeggiata. Raggiungiamo l’Università di Toronto, fatta di edifici ordinari e di altri, invece, antichi e molto belli, poi visitiamo anche qui il bookshop – dove compero il libro di Margaret Artwood. Ci mettiamo alla ricerca di una grande libreria che abbiamo vista citata sulle guide, ma all’indirizzo che abbiamo non risulta (c’è un negozio Nike!), però gironzolando scopriamo un bel localino con terrazza all’aperto per mangiare. Ci mettiamo alla ricerca di Kensington Market, che si trova dentro o al confine con chinatown (è il solito bazar di cose brutte, e di cibi strani). Scendiamo con decisione verso il lago, guardandoci intorno senza stancarci per riempirci gli occhi di tanta bellezza: grattacieli con le pareti di vetro, che riflettono tutto quello che c’è intorno, angoli curiosi dove nascono sculture, fontane. Vediamo anche, appesi all’esterno dei grattacieli, i classici lava vetri che scivolano in scioltezza da una finestra all’altra. Finalmente siamo sulla CN Tower! E’ la torre più alta del mondo, da lassù i grattacieli sembrano birilli. Saliamo subito e ci perdiamo a guardare il panorama, in particolare la Toronto Island, l’isola davanti alla città dove ci sono uffici ma anche tanti alberi e un aeroporto ben trafficato. Cambiamo piano per camminare sul Glass Floor, pochi metri quadrati di pavimento completamente trasparente che, in primissima battuta, mi intimidisce e spaventa non poco, poi prendo confidenza e alla fine mi diverto un sacco a passeggiarci sopra (sembra impossibile, ma … mi regge!). Quando usciamo dalla CN Tower andiamo a vedere la Flat iron House: qui vicino c’è un bel ristorante, dove ci fermiamo per cena. Io prendo un chili con carne piccante molto buono. Siamo distrutti perché abbiamo camminato moltissimo su e giù per la città, ma tornati in camera non mi decido ad andare a dormire, affascinata dallo spettacolare skyline che vorrei imprimermi nel ricordo in modo molto preciso. Se di giorno i grattacieli riflettono quello che hanno intorno, di notte sono tutti illuminati, alcuni hanno luci fisse, altri intermittenti, e la CN Tower è illuminata di rosso e di blu: lo spettacolo è grandioso.
29 agosto – Dedichiamo ancora qualche ora (visto che abbiamo il parcheggio pagato …) a Toronto: ci lanciamo in un giro a piedi e rapidamente ci perdiamo, ma va bene così, ognuno ha i suoi tempi e le sue preferenze. Paolo ed io ci avviamo diretti verso il fiume, ma senza un itinerario preciso, così scopriamo piazzette seminascoste con sculture e fontane, murales, entriamo e usciamo dai grattacieli di vetro che hanno, all’interno, un’architettura in sintonia con l’esterno, decisamente sorprendente, sempre bellissima. Arriviamo ad Harbourfront, la zona sul lago che guardala Toronto Island, e ci prendiamo un po’ di tempo per goderci il panorama, e l’acqua. Ci sono tanti gabbiani, e barche – tra qui una che sembra un battello a ruota come quelli sul Mississipi – e uno stato di tranquillità e rilassatezza che sembra molto lontano da quello caotico della metropoli …
Un ultimo sguardo alla CN Tower e poi si riparte: tornando verso l’albergo e la macchina ci concediamo un frullatone in bicchierone, che succhiamo dalla cannuccia mentre camminiamo, e ci sentiamo tanto americani!
Ma la prossima tappa, purtroppo anche l’ultima, è particolarmente attraente: ci aspettano le Cascate del Niagara. Raggiungiamo prima l’hotel (Ramada), una costruzione bassa abbastanza integrata nel contesto, sebbene sorga proprio sulla strada principale che porta alle cascate. Di fronte c’è un grande spiazzo con almeno una ventina di outlet: evidentemente qui il turismo è talmente tanto, ricco e spendaccione che le firme di generi anche molto diversi (abbigliamento, ma non solo) ne approfittano per indurre allo shopping, con una le loro proposte a prezzi interessanti. Ma la sosta all’outlet serve solo a far passare il tempo nella reciproca attesa, non vediamo l’ora di arrivare alle cascate. Le intravediamo dall’alto, e subito ci mostrano tutto il loro fascino. Forse, come dicono tutti, non sono particolarmente alte, ma la quantità d’acqua che si sposta è assolutamente impressionante. Per di più, il fatto di arrivare in una bellissima giornata serena gioca un ruolo molto importante nell’amplificare il loro fascino. E’ uno spettacolo in continuo movimento, in continua mutazione, che forma l’arcobaleno e poi lo disfa, che gonfia una nuvola di vapore fino a bagnare la strada, il tutto accompagnato dall’incessante rumore dell’acqua che corre e che cade. Prendiamo una specie di funicolare che ci porta a livello del fiume, e poi non ci stanchiamo di camminare avanti e indietro per osservarle e fotografarle, senza dimenticare che, proprio d fronte a noi, corre il suolo degli Stati Uniti d’America. Questi spettacoli che coinvolgono tutti i cinque sensi non stancano, anzi, sembrano proporsi ad ogni attimo diversi e invogliano a continuare a guardare e a guardare. Verso il tramonto, uno spettacolo che si ripete due volte al giorno da tempo: un equilibrista “passeggia”su un filo teso tra alcune costruzioni.
Lo fa senza apparenti protezioni, e si aiuta solamente con una lunga asta, ma ne seguiamo il percorso con una certa emozione. Lo ritroviamo più tardi, a terra, che firma autografi e illustra che il suo è un progetto umanitario per raccogliere fondi. Attendiamo il buio per assistere allo spettacolo dei fuochi d’artificio sull’acqua (belli) e ai giochi di luce che cambiano il colore delle cascate (inutili?) – perdiamo Patrizia, che ritroviamo dalla macchina. Ceniamo al ristorante Ponticello, un po’ italiano, discreto …
30 agosto – E’ l’ultimo giorno. Siamo lontani dall’aeroporto e quindi dobbiamo avviarci con anticipo, ma per prima cosa torniamo alle cascate per guardarle ancora un po’ e respirarne l’atmosfera e l’energia. Poi ci spostiamo avviamo verso Niagara on the Lake, ma prima di raggiungerlo gironzoliamo un po’ in mezzo ai vigneti e alle numerose fattorie che sorgono in quest’area, dove si producono vini di qualità (che non conosciamo) ma soprattutto l’Ice Wine, vino dolce, marsalato, che deriva da uve ghiacciate (viene prodotto anche in Europa, in Austria per esempio). Ci fermiamo in un’azienda agricola per una visita – che non facciamo, perché è a pagamento – ma assaggiamo il vino e comperiamo la gelatina di ice wine, con la speranza che non ce la confischino in aeroporto … Poi andiamo a Niagara on the Lake, un paesino tutto fiorito che pare finto, totalmente all’insegna del turismo, visto che è tutto negozi. L’unica cosa interessante da visitare è una farmacia che si presenta ancora old fashioned, tutta legno e prodotti naturali. Ahimè bisogna andare, con il rischio di trovare qualche coda (in realtà c’è traffico, ma arriviamo in aeroporto e alla consegna della macchina con mezz’ora di anticipo). Stefano si abbandona ad una scena straziante nel momento in ci deve lasciare Sharon per sempre: la vede afferrare in modo deciso e un po’ brutale da un incaricato dell’auto, e lo apostrofa con decisione e, soprattutto, in italiano, implorando un “piano, piano, fai piano ..”. Ahimè, l’uomo tecnologico non distingue più dove finisce la realtà e inizia la finzione virtuale. Poi, in aeroporto, è solo un’attesa al momento dell’imbarco, e poi un viaggio piuttosto faticoso, di notte, con poca possibilità di dormire causa il rumore forte dell’aereo, oltre le luci accese fino a tardi. Arrivederci …
24 Luglio 2017 alle 07:23
Vacanze on-the-road. Un po’ mi affascinano, un po’ mi incutono paura perché io non amo particolarmente le improvvisazioni, per non parlare poi della guida in terra straniera.
Però ti permettono di ‘vedere’ davvero ciò che vuoi, ed il Canada noto che vi abbia offerto scenari indimenticabili, oltre a cibo e quant’altro.
Credo che sia un Paese ideale per viverci da molti punti di vista, tranne quello climatico invernale. La cosa buffa è che io ho parenti emigrati proprio a Toronto, ma ho provato a contattarli prima di partire senza ricevere risposta, dunque appuntamento fallito.
Le cascate sono una meraviglia, ed io non avendo viaggiato particolarmente, le ho trovate fantastiche, forse il luogo naturale più bello che io abbia mai visto in vita mia.
Gradite le tue foto, sei magra non credo che il pavimento della CN Tower abbia avuto difficoltà a reggerti.
Ciao
Andrea alias K!
24 Luglio 2017 alle 15:55
Avendo provato più versioni, direi che ogni modo di viaggiare ha i suoi pro e contro. Un viaggio come questo ha richiesto una lunga e dettagliata preparazione a tavolino. Sì, per fortuna il glass floor non ha ceduto ;). Ma hai visto l’alce?